Liberismo economico Contro Protezionismo
Si può parlare in termini semplici di Liberismo come quando lo Stato non entra negli affari di mercato mentre si può parlare di Protezionismo quando lo Stato esige grandi tasse a livello doganale sui prodotti che vengono importati dall'estero. Facendo questo i consumatori sono incentivati a comprare dei prodotti locali piuttosto che scegliere di cercare su altri mercati. Lo Stato può sempre decidere quali prodotti tassare di più e quali invece tassare in odo più leggero. Ovviamente questa è una definizione abbastanza generica.
I due sistemi sono diametralmente opposti a livello economico, quando si parla di liberismo si parla dell'essenza intrinseca del capitalismo, il mercato libero, lo scambio di merci senza particolari restrizioni, quindi la totale libertà a livello economico. In questo caso quindi lo Stato è assente dalle transazioni e non funge da garante o da mediatore interessato. Quando si parla di protezionismo si ha invece la situazione opposta, infatti in questo caso è lo Stato a determinare anche indirettamente gli scambi economici del proprio Paese. Come fa? Imponendo tasse elevate su alcuni prodotti piuttosto che su altri, dazi a livello doganale quindi, imposte sulle differenti merci e di conseguenza sulle importazioni Questo rende gli scambi economici molto più difficoltosi per alcuni prodotti e con alcuni Paesi. Gli Stati che adottano il sistema Protezionistico non sono quelli che possono essere considerati portatori del libero commercio e della “evoluzione” economica delle società.
Resta poi da vedere se il Liberismo sia realmente la migliore teoria economica applicabile, i tempi moderni con tutti disastri finanziari che stanno succedendo direbbero il contrario, infatti lo Stato non entrando in conflitto con il mercato spesso non funge nemmeno da garante per evitare che si instaurino veri e propri monopoli o cartelli. Questo è un problema molto importante nel libero mercato che a quel punto non è più così “libero”.
Il liberisimo economico e l'equità sociale:gli stipendi d'oro dei manager male necessario
Von Hayek , fu uno dei più famosi economisti e filosofi del ventesimo secolo. Alla maggioranza delle persone l’austriaco premio Nobel per l’economica sarà noto per un concetto spesso riassunto come “democrazia significa libertà”, che è considerato alla base del liberismo economico. Secondo questa visione infatti lo Stato non deve intervenire nell’economia, ma deve lasciare libertà alle iniziative private di gestire il mercato e i risvolti economici sulla popolazione.
Come ci ha spesso insegnato l’esperienza però nel mondo attuale questo principiò non riesce a coniugarsi in alcun modo con una equa distribuzione delle ricchezze, anzi spesso il liberismo tende a divaricare ancora di più le differenze tra le fasce più abbienti e quelle più deboli, dando vita al famoso “i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri”.
Dunque lo stato si è visto spesso costretto a intervenire per cercare di equilibrare la questione. Naturalmente però il mercato globale è comunque molto aperto, e ormai vi è la presenza di una forte concorrenza in quasi tutti i settori dell’industria, compresi capisaldi del welfare come la sanità pubblica (si pensi all'esistenza di siti dedicati ai consulti online come pazienti.it) e il sistema pensionistico (si pensi a tutte le pensioni integrative private che sono sbocciate negli anni).
Dunque nasce una figura chiave nell’economia moderna: il manager. Anzi meglio, il top manager, cioè l’amministratore migliore, il più bravo, colui che è in grado di far rinascere un’azienda e di portarla a livelli altissimi. Questi top manager si rivelano figure chiave perché le società devono molto spesso a loro il successo che raggiungono, e dunque li premiano con stipendi esorbitanti. Ciò perché un ottimo manager tenderà ad andare nell’azienda che gli offre le condizioni di lavoro più congeniali e il profitto più alto.
Anche nell’ottica di una maggior equità sociale gli stipendi d’oro di questi amministratori si rivelano necessari, poiché se lo Stato deve distribuire le ricchezze dovrà prendere parte degli introiti anche dalle aziende che guadagnano di più, e il guadagno di queste aziende è spesso innegabilmente legato ai manager.
Inoltre questi manager portano alle aziende una ricchezza che poi dovrebbe anche permettere alle società stesse di poter investire sul territorio nazionale con nuove industrie o a livello di ricerca, facendo quindi aumentare i posti di lavoro. Anche se purtroppo spesso capita che invece questi capitali vengano investiti solo all’estero in paesi con costi di produzione minori, senza un adeguato ritorno a livello di crescita lavorativa nel paese d’origine.
Senza dimenticare, inoltre, che la figura del Top Manager è anche quella, spesso, di farsi convettore di congiure, scandali, e dell'immagine stessa del brand che rappresenta. Ormai celebre il caso dell'attuale Presidente di Pirelli SPA, (leggi: Tronchetti Provera intercettazioni Telecom), che pur terminando con un proscioglimento dell'illustre imputato, vide passare il top manager milanese dagli sfarzi delle feste "IN" e delle copertine patinate dei magazine al grigiore delle aule di tribunale.
Naturalmente però questa tendenza a pagare esageratamente i grandi manager è vista sempre peggio dalla popolazione comune, soprattutto in un periodo di crisi come questo. Difatti in Svizzera è recentemente stato approvato con il 67,9% dei voti un referendum per porre un tetto a queste retribuzioni. (http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/03/svizzera-referendum-storico-stop-ai-compensi-doro-ai-super-manager/519099/ )